Dossier sul nucleare.

(a cura del Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente dell’FdCA)

Presentazione

NON SOLO BUGIE MA ANCHE PIÙ DI 60 ANNI DI CRIMINI SULL’UMANITÀ E SULLA NATURA.

E così, dopo che nel 1987 un referendum popolare aveva definitivamente respinto la possibilità che in Italia si sviluppasse la tecnologia nucleare, oggi, passati 22 anni da allora, la lobby nucleare ci riprova.
Abbiamo visto che i motivi che questa lobby adduce per giustificare la scelta dell’esecutivo (per inciso lobby ampliamente rappresentata anche tra gli esponenti dell’attuale parlamento italiano), sono motivi sia di carattere economico, con la tanto sospirata indipendenza energetica italica dal resto del mondo, legata ad una presunta economicità del chilowattora nucleare, che motivi di carattere ambientale, con l’asserzione che l’energia nucleare sia una sorta di medicina per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici.
Niente di più falso, come vedremo su questo dossier che comparirà a puntate da questo numero di AL Sicilia in poi.
In esso cercheremo di mettere nero su bianco tutte le bugie dette su questo tema dai poteri politico ed economico, e descriveremo tutte le nefandezze compiute, impiegando questa forma energetica, dalle potenze mondiali e dall’industria del nucleare nei confronti dell’umanità e dell’ambiente naturale.
Parleremo più dettagliatamente dei costi di investimento necessari alla costruzione e all’avvio di una centrale nucleare e specialmente dei costi di gestione e immagazzinamento delle scorie nucleari e di quelli legati allo smantellamento delle centrali obsolete.
Vedremo che il problema della produzione e della gestione delle scorie nucleari è un aspetto tuttora irrisolto e vedremo come Stati, multinazionali, servizi segreti e mafie si industrino per risolvere questo problema.
Parleremo della irrinunciabile connessione tra nucleare civile e militare, pena la sopravvivenza stessa dell’industria energetica atomica, e tutto ciò che ne consegue dal punto di vista degli arsenali di armi nucleari sparsi per il mondo e dell’uso che anche oggi viene fatto delle armi nucleari.
Vedremo più dettagliatamente le falsità dette sulla presunta eco-compatibilità dell’energia nucleare e anche sulla presunta sicurezza dei cosiddetti impianti di III e IV generazione.
E infine nelle puntate seguenti parleremo anche di alcuni dei più disumani eccidi compiuti dalle potenze nucleari nell’arco di questi ultimi quasi 70 anni di storia dell’umanità.
Buona lettura a chi avrà voglia e pazienza di leggere.
Iniziamo ora con gli aspetti economici.

Capitolo 1 - A VOLTE RITORNANO. – con rinnovato entusiasmo e vecchie falsità – il mito dell’indipendenza e del basso costo del kilowattora nucleare.

Come accennato nella presentazione, uno dei motivi addotti dalla lobby nucleare italiana per convincerci al ritorno all’impiego di questa forma energetica, è nella presunta economicità della stessa rispetto alle altre fonti.
I nuclearisti, però, nell’affermare che il kilowattora nucleare è più economico rispetto a quello prodotto con le altre energie, mettono nel loro conto esclusivamente la porzione della filiera relativa alla trasformazione da energia nucleare ad elettrica, non considerando i costi di estrazione del minerale ed il suo arricchimento in U235, ma soprattutto tralasciando tutti i costi connessi alla gestione delle scorie radioattive ed allo smantellamento degli impianti quando divengono obsoleti.
D’altronde è anche vero che gli industriali e le multinazionali sono abituati a non conteggiare questi oneri nella produzione perché spesso non sono pagati da loro ma vengono scaricati sulla collettività. Ad esempio l’energia francese costa poco perché il Governo francese scarica gli enormi costi della gestione dello smaltimento delle scorie e dello smantellamento delle centrali dimesse sul bilancio dello Stato.
In Italia la collettività sta ancora pagando per lo smantellamento, la messa in sicurezza e la gestione delle scorie radioattive, con costi enormi. Il costo per la dismissione del nucleare, fino ad oggi, ha comportato un esborso dalle tasche degli italiani di una cifra colossale.
Dal 1989, infatti sulle bollette elettriche sono stati effettuati sistematicamente dei prelievi per una cifra totale, rivalutata al 2003 di circa 9 miliardi e 523 milioni di euro, come rimborso all'Enel ma anche ad altre società fra cui l'Ansaldo, per il danno subito con la decisione di abbandonare il nucleare dopo il referendum del 1987. Si tratta dei cosiddetti "oneri nucleari" pagati alla lobby nuclearista per compensare gli investimenti fatti per le infrastrutture e l’acquisto del combustibile, inutilizzati dopo la rinuncia referendaria all'atomo.
Fino ad oggi, se comprendiamo oltre ai suddetti oneri le altre spese di gestione, la breve stagione del nucleare italiano è costata ai contribuenti l’iperbolica cifra di 11 miliardi di euro, cifra paragonabile ad una manovra finanziaria dello Stato.
E non è finito qui, troppi soldi dovranno essere ancora spesi e tante energie umane dovranno essere impiegate nella messa in sicurezza delle scorie radioattive. D’altronde tutti i vecchi impianti nucleari sono ancora in piedi, anche se ormai non più operativi, e ancora molte scorie radioattive sono in essi depositate in attesa di essere riprocessate e messe in sicurezza.
Qualche anno fa la stessa Sogin (società pubblica italiana che si occupa di gestire lo smantellamento degli impianti e la messa in sicurezza delle scorie nazionali) in uno dei tanti progetti di ritrattamento di scorie nucleari, aveva calcolato che per trasportare circa 235 tonnellate di combustibile esausto in Francia, per essere riprocessato e per farlo tornare indietro, ci volessero circa 1,2 miliardi di euro.
Aggiungiamoci poi i costi del cosiddetto “decommissioning”, ossia per lo smantellamento di una centrale obsoleta. Secondo l’agenzia NEA (La Nuclear Energy Agency è un’agenzia specializzata in energia nucleare e facente capo all’OCSE) la spesa per smantellare in sicurezza un impianto medio-grande di 1000 MW sarebbe di circa 0,5 miliardi di euro.
Vista la vita media di una centrale nucleare, di circa 25 anni, sono cifre assolutamente non trascurabili nel calcolo del costo del kilowattora nucleare e quindi nel confronto dei prezzi con quello prodotto da un’altra fonte energetica.
Abbiamo parlato dei costi di smantellamento. Facciamo ora un passo indietro e consideriamo i costi necessari all’avvio del progetto nucleare. Per costruire una centrale nucleare bisogna anticipare delle cifre enormi: ci vogliono, se consideriamo il solo combustibile iniziale, circa 2000-2200 euro per kilowattora di potenza da installare, per cui, se si calcola il costo di un impianto medio-grande, ad esempio da 1000 MWe, si arriva a dover investire inizialmente circa 2 miliardi di euro soltanto per il combustibile necessario ad iniziare la produzione, senza considerare i costi di costruzione della struttura e dell’acquisto e l’installazione delle tecnologie.
Alcune agenzie e compagnie hanno provato a valutare la cifra dell’investimento iniziale necessario a costruire ed avviare una centrale di 1000 MW.
– Circa 2 miliardi di euro secondo ENEL;
– Oltre 3,5 miliardi di euro secondo E.On (compagnia elettrica tedesca);
– Oltre 4,6 miliardi di euro secondo Moody’s (società di ricerche finanziarie americana);
– Oltre 5,2 miliardi di euro secondo Florida L&P (compagnia elettrica americana);
Spicca nell’elenco il grande ottimismo di ENEL da tempo ormai appassionata sostenitrice del rilancio del nucleare e compartecipe di vari progetti di costruzione di nuovi impianti nucleari in giro per l’Europa.
A prescindere dall’ottimismo economico dell’ENEL, quello che ci si domanda naturalmente è: quale gruppo economico investirà tali cifre, sapendo che ci vorranno circa una ventina d’anni per recuperare l’investimento iniziale? E soprattutto chi investirà sapendo che in 20 e più anni le cose dal punto di vista anche dei soli singoli costi di produzione hanno una altissima probabilità che cambino e evolvano a tutto favore delle produzioni alternative, come d’altronde sta già oggi in parte avvenendo?
E’ molto probabile che tra 20 anni, quando si tratterà di cominciare a raccogliere gli utili, ci si troverà tra le mani una tecnologia non più conveniente, considerando inoltre che l’uranio è una materia prima non illimitata, ed i suoi costi, è facilmente prevedibile, lieviteranno sempre più nel tempo, man mano che il suo sfruttamento ne diminuirà la disponibilità. Nella migliore delle ipotesi l’uranio, agli attuali tassi di consumo, si esaurirebbe nell’arco di una quarantina d’anni; periodo destinato a ridursi drasticamente nell’ipotesi di un rilancio dello sfruttamento di tale energia.
Questo ovviamente se nuove scoperte tecnologiche non permetteranno di avere degli impianti di trasformazione sempre più efficienti e se non si arriverà a sfruttare la tanto sospirata fusione fredda. Ma se nel primo caso molti ricercatori pensano che si è vicini ormai al limite fisico e che comunque potrà solo rallentare il consumo di una risorsa comunque finita, il caso della fusione fredda rimane ancora oggi una lontana e illusoria chimera.
Ritornando ai costi d’investimento, appare chiaro che nel caso di scelta nucleare sarà lo Stato a dover intervenire massicciamente, con forme di finanziamento e di incentivi economici ad hoc, prelevando i soldi dalla fiscalità generale, che come sappiamo si sostiene prevalentemente con il lavoro salariato. E così magicamente per l’ennesima volta si realizzerà quel connubio tra Stato e grandi gruppi economici che permetterà ai nostri industriali, ed a tutto il codazzo di faccendieri, di rischiare i soldi dei lavoratori e di intascare gli eventuali utili.
L’assoluta ineconomicità della scelta nucleare traspare anche da alcune considerazioni. Ad esempio li dove questa tecnologia è controllata prevalentemente dal capitalismo privato, come negli USA, ormai non vengono più costruite nuove centrali a rimpiazzare quelle obsolete, e le grandi compagnie energetiche stanno sempre più rivolgendo la loro attenzione alle tecnologie rinnovabili. In Francia, come abbiamo visto, il nucleare può continuare a sussistere grazie ad un massiccio intervento dello Stato specialmente nel settore dello smaltimento delle scorie radioattive.
Un altro mito facilmente sfatabile è quello che il nucleare ci renderà economicamente indipendenti. A parte il fatto che l’Italia non ha miniere di Uranio quantitativamente importanti, per cui saremo comunque costretti a comprarlo all’estero, e, come abbiamo visto, con prezzi sempre crescenti se aumenterà la velocità del suo sfruttamento, ma con l'energia nucleare si può produrre solo elettricità, che rappresenta solo circa il 20% dell'energia consumata in Italia, la restante proviene dal petrolio, dal carbone e dal gas. Quindi a meno che non trasformiamo in pochi anni tutto il sistema di autotrazione, di riscaldamento e di approvvigionamento energetico industriale, a ben poco servirà il nucleare per renderci indipendenti.
D'altronde la situazione energetica della Francia ci insegna che, con decine di impianti nucleari ed una sovrapproduzione di energia elettrica, la stessa è costretta comunque ad importare gas e petrolio con le nostre stesse quantità. Anzi è costretta a svendere sottocosto quella quota di sovrapproduzione elettrica prodotta delle sue centrali, che non riesce a consumare all’interno dei propri confini.
La presunta, poi, maggiore economicità dell’energia elettrica di origine nucleare della Francia, è un’altra bufala mediatica che si accompagna all’altra bufala che propaganda la supposta inefficienza del sistema elettrico italiano a coprire i consumi nazionali.
In realtà, in Italia la capacità elettrica installata eccede ampiamente la richiesta di consumo (88.300 MW contro 55.600 MW, dati 2006); soltanto che in Italia la privatizzazione dell’industria elettrica ha portato ad un aumento delle tariffe, mentre il sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori. Questo è il motivo per cui il kilowattora francese è più a buon mercato, unitamente al fatto che lo Stato francese è costretto a svendere l’energia elettrica per problemi di sovrapproduzione; in realtà infatti finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a quelle della Francia.

Zatarra