Novembre 2009

Dossier sul nucleare.

(a cura del Gruppo di Lavoro Energia e Ambiente dell’FdCA)

Presentazione

NON SOLO BUGIE MA ANCHE PIÙ DI 60 ANNI DI CRIMINI SULL’UMANITÀ E SULLA NATURA.

E così, dopo che nel 1987 un referendum popolare aveva definitivamente respinto la possibilità che in Italia si sviluppasse la tecnologia nucleare, oggi, passati 22 anni da allora, la lobby nucleare ci riprova.
Abbiamo visto che i motivi che questa lobby adduce per giustificare la scelta dell’esecutivo (per inciso lobby ampliamente rappresentata anche tra gli esponenti dell’attuale parlamento italiano), sono motivi sia di carattere economico, con la tanto sospirata indipendenza energetica italica dal resto del mondo, legata ad una presunta economicità del chilowattora nucleare, che motivi di carattere ambientale, con l’asserzione che l’energia nucleare sia una sorta di medicina per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici.
Niente di più falso, come vedremo su questo dossier che comparirà a puntate da questo numero di AL Sicilia in poi.
In esso cercheremo di mettere nero su bianco tutte le bugie dette su questo tema dai poteri politico ed economico, e descriveremo tutte le nefandezze compiute, impiegando questa forma energetica, dalle potenze mondiali e dall’industria del nucleare nei confronti dell’umanità e dell’ambiente naturale.
Parleremo più dettagliatamente dei costi di investimento necessari alla costruzione e all’avvio di una centrale nucleare e specialmente dei costi di gestione e immagazzinamento delle scorie nucleari e di quelli legati allo smantellamento delle centrali obsolete.
Vedremo che il problema della produzione e della gestione delle scorie nucleari è un aspetto tuttora irrisolto e vedremo come Stati, multinazionali, servizi segreti e mafie si industrino per risolvere questo problema.
Parleremo della irrinunciabile connessione tra nucleare civile e militare, pena la sopravvivenza stessa dell’industria energetica atomica, e tutto ciò che ne consegue dal punto di vista degli arsenali di armi nucleari sparsi per il mondo e dell’uso che anche oggi viene fatto delle armi nucleari.
Vedremo più dettagliatamente le falsità dette sulla presunta eco-compatibilità dell’energia nucleare e anche sulla presunta sicurezza dei cosiddetti impianti di III e IV generazione.
E infine nelle puntate seguenti parleremo anche di alcuni dei più disumani eccidi compiuti dalle potenze nucleari nell’arco di questi ultimi quasi 70 anni di storia dell’umanità.
Buona lettura a chi avrà voglia e pazienza di leggere.
Iniziamo ora con gli aspetti economici.

Capitolo 1 - A VOLTE RITORNANO. – con rinnovato entusiasmo e vecchie falsità – il mito dell’indipendenza e del basso costo del kilowattora nucleare.

Come accennato nella presentazione, uno dei motivi addotti dalla lobby nucleare italiana per convincerci al ritorno all’impiego di questa forma energetica, è nella presunta economicità della stessa rispetto alle altre fonti.
I nuclearisti, però, nell’affermare che il kilowattora nucleare è più economico rispetto a quello prodotto con le altre energie, mettono nel loro conto esclusivamente la porzione della filiera relativa alla trasformazione da energia nucleare ad elettrica, non considerando i costi di estrazione del minerale ed il suo arricchimento in U235, ma soprattutto tralasciando tutti i costi connessi alla gestione delle scorie radioattive ed allo smantellamento degli impianti quando divengono obsoleti.
D’altronde è anche vero che gli industriali e le multinazionali sono abituati a non conteggiare questi oneri nella produzione perché spesso non sono pagati da loro ma vengono scaricati sulla collettività. Ad esempio l’energia francese costa poco perché il Governo francese scarica gli enormi costi della gestione dello smaltimento delle scorie e dello smantellamento delle centrali dimesse sul bilancio dello Stato.
In Italia la collettività sta ancora pagando per lo smantellamento, la messa in sicurezza e la gestione delle scorie radioattive, con costi enormi. Il costo per la dismissione del nucleare, fino ad oggi, ha comportato un esborso dalle tasche degli italiani di una cifra colossale.
Dal 1989, infatti sulle bollette elettriche sono stati effettuati sistematicamente dei prelievi per una cifra totale, rivalutata al 2003 di circa 9 miliardi e 523 milioni di euro, come rimborso all'Enel ma anche ad altre società fra cui l'Ansaldo, per il danno subito con la decisione di abbandonare il nucleare dopo il referendum del 1987. Si tratta dei cosiddetti "oneri nucleari" pagati alla lobby nuclearista per compensare gli investimenti fatti per le infrastrutture e l’acquisto del combustibile, inutilizzati dopo la rinuncia referendaria all'atomo.
Fino ad oggi, se comprendiamo oltre ai suddetti oneri le altre spese di gestione, la breve stagione del nucleare italiano è costata ai contribuenti l’iperbolica cifra di 11 miliardi di euro, cifra paragonabile ad una manovra finanziaria dello Stato.
E non è finito qui, troppi soldi dovranno essere ancora spesi e tante energie umane dovranno essere impiegate nella messa in sicurezza delle scorie radioattive. D’altronde tutti i vecchi impianti nucleari sono ancora in piedi, anche se ormai non più operativi, e ancora molte scorie radioattive sono in essi depositate in attesa di essere riprocessate e messe in sicurezza.
Qualche anno fa la stessa Sogin (società pubblica italiana che si occupa di gestire lo smantellamento degli impianti e la messa in sicurezza delle scorie nazionali) in uno dei tanti progetti di ritrattamento di scorie nucleari, aveva calcolato che per trasportare circa 235 tonnellate di combustibile esausto in Francia, per essere riprocessato e per farlo tornare indietro, ci volessero circa 1,2 miliardi di euro.
Aggiungiamoci poi i costi del cosiddetto “decommissioning”, ossia per lo smantellamento di una centrale obsoleta. Secondo l’agenzia NEA (La Nuclear Energy Agency è un’agenzia specializzata in energia nucleare e facente capo all’OCSE) la spesa per smantellare in sicurezza un impianto medio-grande di 1000 MW sarebbe di circa 0,5 miliardi di euro.
Vista la vita media di una centrale nucleare, di circa 25 anni, sono cifre assolutamente non trascurabili nel calcolo del costo del kilowattora nucleare e quindi nel confronto dei prezzi con quello prodotto da un’altra fonte energetica.
Abbiamo parlato dei costi di smantellamento. Facciamo ora un passo indietro e consideriamo i costi necessari all’avvio del progetto nucleare. Per costruire una centrale nucleare bisogna anticipare delle cifre enormi: ci vogliono, se consideriamo il solo combustibile iniziale, circa 2000-2200 euro per kilowattora di potenza da installare, per cui, se si calcola il costo di un impianto medio-grande, ad esempio da 1000 MWe, si arriva a dover investire inizialmente circa 2 miliardi di euro soltanto per il combustibile necessario ad iniziare la produzione, senza considerare i costi di costruzione della struttura e dell’acquisto e l’installazione delle tecnologie.
Alcune agenzie e compagnie hanno provato a valutare la cifra dell’investimento iniziale necessario a costruire ed avviare una centrale di 1000 MW.
– Circa 2 miliardi di euro secondo ENEL;
– Oltre 3,5 miliardi di euro secondo E.On (compagnia elettrica tedesca);
– Oltre 4,6 miliardi di euro secondo Moody’s (società di ricerche finanziarie americana);
– Oltre 5,2 miliardi di euro secondo Florida L&P (compagnia elettrica americana);
Spicca nell’elenco il grande ottimismo di ENEL da tempo ormai appassionata sostenitrice del rilancio del nucleare e compartecipe di vari progetti di costruzione di nuovi impianti nucleari in giro per l’Europa.
A prescindere dall’ottimismo economico dell’ENEL, quello che ci si domanda naturalmente è: quale gruppo economico investirà tali cifre, sapendo che ci vorranno circa una ventina d’anni per recuperare l’investimento iniziale? E soprattutto chi investirà sapendo che in 20 e più anni le cose dal punto di vista anche dei soli singoli costi di produzione hanno una altissima probabilità che cambino e evolvano a tutto favore delle produzioni alternative, come d’altronde sta già oggi in parte avvenendo?
E’ molto probabile che tra 20 anni, quando si tratterà di cominciare a raccogliere gli utili, ci si troverà tra le mani una tecnologia non più conveniente, considerando inoltre che l’uranio è una materia prima non illimitata, ed i suoi costi, è facilmente prevedibile, lieviteranno sempre più nel tempo, man mano che il suo sfruttamento ne diminuirà la disponibilità. Nella migliore delle ipotesi l’uranio, agli attuali tassi di consumo, si esaurirebbe nell’arco di una quarantina d’anni; periodo destinato a ridursi drasticamente nell’ipotesi di un rilancio dello sfruttamento di tale energia.
Questo ovviamente se nuove scoperte tecnologiche non permetteranno di avere degli impianti di trasformazione sempre più efficienti e se non si arriverà a sfruttare la tanto sospirata fusione fredda. Ma se nel primo caso molti ricercatori pensano che si è vicini ormai al limite fisico e che comunque potrà solo rallentare il consumo di una risorsa comunque finita, il caso della fusione fredda rimane ancora oggi una lontana e illusoria chimera.
Ritornando ai costi d’investimento, appare chiaro che nel caso di scelta nucleare sarà lo Stato a dover intervenire massicciamente, con forme di finanziamento e di incentivi economici ad hoc, prelevando i soldi dalla fiscalità generale, che come sappiamo si sostiene prevalentemente con il lavoro salariato. E così magicamente per l’ennesima volta si realizzerà quel connubio tra Stato e grandi gruppi economici che permetterà ai nostri industriali, ed a tutto il codazzo di faccendieri, di rischiare i soldi dei lavoratori e di intascare gli eventuali utili.
L’assoluta ineconomicità della scelta nucleare traspare anche da alcune considerazioni. Ad esempio li dove questa tecnologia è controllata prevalentemente dal capitalismo privato, come negli USA, ormai non vengono più costruite nuove centrali a rimpiazzare quelle obsolete, e le grandi compagnie energetiche stanno sempre più rivolgendo la loro attenzione alle tecnologie rinnovabili. In Francia, come abbiamo visto, il nucleare può continuare a sussistere grazie ad un massiccio intervento dello Stato specialmente nel settore dello smaltimento delle scorie radioattive.
Un altro mito facilmente sfatabile è quello che il nucleare ci renderà economicamente indipendenti. A parte il fatto che l’Italia non ha miniere di Uranio quantitativamente importanti, per cui saremo comunque costretti a comprarlo all’estero, e, come abbiamo visto, con prezzi sempre crescenti se aumenterà la velocità del suo sfruttamento, ma con l'energia nucleare si può produrre solo elettricità, che rappresenta solo circa il 20% dell'energia consumata in Italia, la restante proviene dal petrolio, dal carbone e dal gas. Quindi a meno che non trasformiamo in pochi anni tutto il sistema di autotrazione, di riscaldamento e di approvvigionamento energetico industriale, a ben poco servirà il nucleare per renderci indipendenti.
D'altronde la situazione energetica della Francia ci insegna che, con decine di impianti nucleari ed una sovrapproduzione di energia elettrica, la stessa è costretta comunque ad importare gas e petrolio con le nostre stesse quantità. Anzi è costretta a svendere sottocosto quella quota di sovrapproduzione elettrica prodotta delle sue centrali, che non riesce a consumare all’interno dei propri confini.
La presunta, poi, maggiore economicità dell’energia elettrica di origine nucleare della Francia, è un’altra bufala mediatica che si accompagna all’altra bufala che propaganda la supposta inefficienza del sistema elettrico italiano a coprire i consumi nazionali.
In realtà, in Italia la capacità elettrica installata eccede ampiamente la richiesta di consumo (88.300 MW contro 55.600 MW, dati 2006); soltanto che in Italia la privatizzazione dell’industria elettrica ha portato ad un aumento delle tariffe, mentre il sistema elettrico francese è largamente pubblico e ha mantenuto tariffe minori. Questo è il motivo per cui il kilowattora francese è più a buon mercato, unitamente al fatto che lo Stato francese è costretto a svendere l’energia elettrica per problemi di sovrapproduzione; in realtà infatti finché anche l’industria italiana era pubblica le tariffe erano simili a quelle della Francia.

Zatarra

La lotta al razzismo come strumento di costruzione di una società interculturale, interetnica, internazionalistica.

Individuare nella lotta al razzismo uno degli strumenti fondamentali di ricostruzione dell'opposizione sociale in Italia è uno dei passaggi fondamentali nella mobilitazione che coinvolge tutti coloro che sono impegnati nel ricollocare in una prospettiva di lotta di classe, e quindi di emancipazione dal bisogno, il loro agire politico, per costruire un progetto politico di uguaglianza e di libertà che trovi consenso nella società.
Occorre prendere atto che già oggi, ma ancora di più nel futuro, siamo immersi in una società multietnica e multiculturale nella quale i vari segmenti, le varie "comunità" che la compongono non parlano un linguaggio comune e sono indotte dall'organizzazione capitalistica del lavoro a cercare modi di organizzazione, di interrelazione, valori, comportamenti tesi alimentare la divisione e la contrapposizione.
Le differenze linguistiche, comportamentali, alimentari, valoriali delle popolazioni migranti vengono utilizzate dalla destra non solo per alimentare la paura e criminalizzare i comportamenti di tutti coloro che sono diversi, ma per impedire una ricomposizione degli interessi di classe, per contrastare gli interessi di genere più legati alla natura umana, che potrebbe minacciare il perpetuarsi dei sistemi di sfruttamento delle classi subalterne.

Le strategie di frammentazione della società.

La progressiva concentrazione di capitali e di ricchezze nelle mani di un numero sempre minore di soggetti, lo sviluppo del capitale finanziario e della speculazione a danno ed a detrimento dei salari e delle pensioni dei lavoratori/trici - spingendoli inesorabilmente verso l'indebitamento ed il ricatto occupazionale/salariale - sono alla base dell'attuale crisi economica che, per essere superata, ha bisogno di una profonda ristrutturazione dei rapporti produttivi e quindi sociale.
L'involuzione sempre più autoritaria dei modelli di governo, l'eliminazione di ogni opposizione sociale anche a livello istituzionale è necessaria alle classi dominanti se si vuole gestire una percentuale delle popolazione perennemente ricattata, in quanto collocata sulla soglia di povertà, alla quale si contrappone una popolazione migrante ulteriormente e maggiormente discriminata, ma utilizzata sul mercato del lavoro per mantenere bassi salari e occupazione precaria.
Fin qui niente di nuovo ma oggi, utilizzando le classi subalterne contro i migranti si crea uno spazio ulteriore di sfruttamento e di potere che consente di reprimere ulteriormente le classi subalterne frammentate e divise.
In tal modo la distribuzione delle popolazioni sul territorio risulta costituita da tante sacche di sfruttati, posti l'un contro l'altro, divisi dalla differenza linguistica, etnica e valoriale, e perciò incapaci di sviluppare quella unità di classe che sarebbe necessaria e naturale sulla base della comune condizione di sfruttamento.
Questo modello sociale ha bisogno di un nuovo tipo di Stato che gestisce queste differenze e pertanto in questa fase politica si esaltano le competenze etiche delle istituzioni politiche le quali estendono il principio di ordine pubblico a quello di "ordine morale" e pretendono di governare i diritti di status: negando ai lavoratori immigrati non solo quello di cittadinanza, ma quello di soggiorno, di mobilità, di ricongiungimento coi familiari, all'istruzione, alla salute...

Il governo dell'economia e delle coscienze.

Esiste un profondo legame, tra gestione dell'accumulazione e dei suoi processi e strategie di accentuazione delle diversità finalizzate a impedire la ricomposizione di classe. Ad esempio porre l'accento sulla differenziazione in materia religiosa, ricercando in questa strategia il sostegno delle confessioni delle quali si esaltano le diversità e le specificità, differenziandole nel godimento dei diritti e nell'accesso alla libertà di culto significa promuovere aggregazioni solidaristiche su basi confessionali che sono per loro natura interclassiste e che contribuiscono quindi a impedire una ricomposizione degli interessi in relazione alla collocazione dei soggetti nel processo produttivo e nelle dinamiche di accumulazione. Allo stesso modo, fare leva sull'elemento etnico come strumento di coesione e solidarietà significa ancora una volta sviluppare una innaturale alleanza tra soggetti diversi per la loro collocazione di classe.
Attraverso queste tecniche si realizza una frammentazione di classe che va ben al di la del dato economico, fino a toccare le corde di sentimenti e volizioni più profonde che riguardano la sfera personale, quella delle tradizioni, dei ricordi, del vissuto individuale e di gruppo.
Ecco così gettate le premesse e le condizioni per una legislazione repressiva e razzista, che dalla legge Turco-Napolitano degli anni '90 al decreto Maroni di quest'anno mettono milioni di vite di immigrati alla mercé della casualità, dei mercanti di schiavi, del governo libico, dei respingimenti, dei CPT e dei CIE, della clandestinità perenne da cui non si esce mai o in cui si viene ricacciati dalla perdita del lavoro o della casa. Non più esseri umani, ma semplicemente corpi vaganti tra reclusione e precarietà.
Di fronte a questo attacco a tutto campo alla concezione stessa dell'essere umano per come l'abbiamo conosciuta, vacillano le Chiese e le religioni, crollano consolidate alleanze, entrano in crisi sistemi politici. La risposta perciò diventa vaga, sconnessa, disorganica, inefficace, incomprensibile ai nostri stessi referenti sociali.

L'antirazzismo e la solidarietà come strumenti di lotta politica.

Non basta denunciare le politiche razziste e securitarie del decreto Maroni. Occorre evitare che, grazie a una attenta e martellante opera propagandistica diventino, prima ancora che norme di legge, senso comune, come dimostrato da episodi aberranti già successi.
Ciò significa nel concreto:
• costruire e federare ampi fronti associativi di base misti, sociali e culturali, di immigrati ed italiani per la comune lotta contro il razzismo, l'emarginazione e la clandestinità;
• favorire e incentivare la partecipazione dei cittadini di origine straniera alla vita sociale, politica, sindacale, associativa, a prescindere dalla provenienza culturale e geografica;
• costruire reti di sostegno legale e sociale ai rifugiati, a chi rischia il ritorno nella clandestinità, alle vittime del razzismo;
• contrastare forme ed espressioni di intolleranza e di razzismo, di controllo del territorio a scopo di pulizia etnica e di repressione;
• garantire la solidarietà attraverso strutture di sostegno ai clandestini, agli immigrati precari, sfrattati, emarginati;
• costruire una rete di solidarietà nell'accesso al reddito e nel sostegno alle condizioni di vita e di lavoro;
• lottare per garantire l'accesso ai servizi essenziali del territorio a tutti coloro che lo abitano;
• garantire i valori culturali di ognuno nel rispetto dei diritti dei minori e della loro libertà di costruzione della propria personalità nella scuola pubblica;
• riconoscere piena libertà a tutte le confessioni religiose e un regime di pari accesso alla disponibilità di edifici di culto per depotenziarne la carica rivendicativa identitaria.

CdD - FdCA

Un rivoluzionario dietro la menzogna di Gesù.

Da circa duemila anni una grande menzogna soggioga i tre quarti dell’umanità. La favola del salvatore sceso sulla terra per adempiere alla santa missione dì strappare gli uomini dal peccato originale e dalla dannazione eterna. Questo personaggio e’ universalmente conosciuto come nostro signore Gesù Cristo. Tutta questa colossale mistificazione a livello prettamente teologico non presenta niente di originale poichè tutta la sua storia o meglio la sua leggenda si rifà ad una scopiazzatura dei miti pagani solari precedenti estrapolati da varie religioni mediorientali più antiche almeno un millennio rispetto al cristianesimo quali il culto avestico del dio Mitra diffuso nell’antica Persia e successivamente in tutto l’impero romano, e quello di Orus, nell’antico Egitto. Queste due antiche religioni appartenenti ai culti misterici differivano dal paganesimo politeista, in quanto tendenti ad un monoteismo salvifico verso l’umanità attraverso il sacrificio di un soter. Cioè di un figlio della divinità unica e suprema, da questa, inviato per permettere a tutti gli uomini di poter accedere alla vita eterna post mortem. A parte l’identica storia del figlio di una vergine nato in una grotta il 25 dicembre e morto a 33 anni crocifisso, dopo una vita trascorsa a predicare, compiere miracoli, e diffondere il nuovo verbo e destinato a risorgere dopo 3 giorni, trascorsi negli inferi, la religione avestica del dio Mitra antesignano di Gesù, disponeva di un cerimoniale di culto identico a quello cristiano, compreso l’uso di acqua santiera, dell’ostia, di un’identica simbologia prima tra tutte la croce, e paramenti sacerdotali sacri. Ad esempio, il cappello indossato dal papa a forma di pesce, chiamato appunto la mitra. Da questi indizzi, si potrebbe supporre l’antistoricità del cristianesimo, incentrato su un personaggio inesistente, revisionato e corretto da questi dei solari pagani precedenti. Ma, attraverso lo studio e la ricerca appassionata e precisa di vari studiosi e storici, appartenenti ad un’area culturale eterogenea, si e’ riusciti ad individuare quel reale personaggio storico, il quale, attraverso una manipolazione storico teologica ben orchestrata dai primi padri della chiesa, ovvero dei falsari cristiani, fu abilmente trasformato nel Gesù nazareno, universalmente conosciuto poi come il Cristo. Questa enorme ricerca, storico scientifica, mettendo a confronto vangeli, atti degli apostoli e storiografia cristiana ufficiale, con gli scritti di Giuseppe Flavio, Giusto da Tiberiade, ed altri storici dell’epoca messianica israelitica, e’ riuscita ad individuare in Giovanni di Gamala, figlio di Giuda il galileo, discendenti della stirpe davidica degli asmonei, il personaggio storico, poi mistificato per Yeshuah il messiah, ovvero Gesù. Ma chi fu’, realmente costui? Durante il dominio romano della Palestina, l’ordine sacerdotale israelitico del sinedrio, composto dai sadducei e dai farisei, accettò di sottostare, all’autorità romana che garantiva loro stabilità, potere, libertà di culto e, soprattutto, privilegi. Però il potere romano, non si accontentò di garantirsi l’appoggio della casta religiosa ebraica, ma provvide anche a sostituire gli eredi politici dei monarchi dell’antico Israele, detti appunto asmonei, con una nuova dinastia reale di origine straniera, gli erodiani. I quali, opportunisticamente convertiti al giudaismo, garantirono il consenso politico istituzionale israelitico a Roma. L’unica opposizione nazionale giudaica rivoluzionaria, al potere romano ed all’ebraismo tradizionale conservatore e corrotto, suo alleato, fu’ rappresentato sia a livello politico militare, che spirituale, dalla corrente spiritualistica esoterica essena. Erano appunto costoro che aspettavano l’avvento del messiah. Cioè di un liberatore che avrebbe posto fine all’oppressione dando vita ad una nuova era di pace e giustizia per il popolo ebraico, affrancato dalla schiavitù straniera e dai traditori del suo stesso popolo. Il movimento esseno faceva appello a tutti i diseredati ed oppressi offrendo loro ospitalità, lavoro e facendoli diventare parte integrante dell’intera comunità. In cambio pretendeva da questi devozione assoluta. Molti di questi venivano addestrati all’uso delle armi in previsione dell’imminente rivoluzione messianica. I migliori di questi venivano chiamati nazirei, cioè consacrati alla rivoluzione. Oltre all’uso delle armi ed alla preparazione militare, era necessario anche l’indottrinamento spirituale e teologico contenente una forte componente esoterica che dagli avversari del sinedrio veniva etichettata come stregoneria, eresia, apostasia e sedizione satanica. L’era rivoluzionaria messianica vide protagonista la stirpe degli asmonei, i quali, diretti discendenti della stirpe di re David e Salomone, furono considerati messiah e proclamati dalle masse popolari giudaiche diseredate re dei giudei contro gli usurpatori erodiani messi al potere dai romani. La loro roccaforte si trovava nella città di Gamala, arroccata sul monte degli ulivi, sul lago Tiberiade, detto anche mare di Galilea. Il primo messiah fu Giuda il galileo, figlio di Ezechia, morto crocifisso dai romani dopo la sconfitta insurrezionale. A tal proposito, si precisa che la crocifissione veniva praticata dai romani contro gli agitatori politici, e non contro gli eretici religiosi, i quali venivano giudicati esclusivamente dal sinedrio e condannati alla lapidazione. Il secondo e più importante messiah, fu il figlio Giovanni. Colui che la falsificazione della chiesa viene presentato come Gesù Cristo costruttore di pace. Gli apostoli altro non erano che i suoi fratelli, anch’essi dirigenti del movimento rivoluzionario, che dai falsari del primo e del secondo secolo, furono trasformati in umili pescatori, scelti da Gesù per diffondere la buona novella e predicare. Ma cosa predicava in realtà questo messiah? Non certo la pace tra gli uomini di buona volontà. Ma la rivoluzione contro i romani e l’oppressione. A tal proposito e’ necessario menzionare il discorso della montagna, mistificato dai vangeli come discorso di pace, altro non fu che l’appello di un patriota rivoluzionario alle masse diseredate ad appoggiare la lotta armata di liberazione. Non a caso confrontando i nomi e sopranomi degli apostoli della storiografia cristiana ufficiale, con i seguaci più stretti di Giovanni il galileo messiah, mensionati da Giuseppe Flavio nella sua opera “Antichità giudaiche e guerre giudaiche”, si evince che si tratta delle stesse persone. Nomi che alla fine di questo articolo potremo citare e confrontare. Ovviamente la stirpe asmonea, essendo una casta aristocratica sia pur decaduta, mirava al potere e non ad una reale liberazione nazionale e sociale. Il vero obiettivo di costoro era quello di riprendersi il potere perduto, e con questo tutti i privilegi ad esso legati. In qualsiasi epoca storica, sia antica che moderna, e’ sempre stato così. Viene naturale il paragone con la moderna borghesia, la quale, nella sua secolare lotta contro le classi aristocratiche e feudali, faceva appello al proletariato industriale e rurale facendosi falsa portatrice di liberta’ ed emancipazione, spacciando i suoi interessi di classe come valori universali. Alla stessa maniera, la stirpe asmonea reale decaduta, spacciava i suoi interessi di riconquista del potere propagandando tutto questo come liberazione nazionale e sociale per tutte le classi subalterne di quell’antica società. Ma come il padre Giuda, anche Giovanni di Gamala, fallì nella sua impresa rivoluzionaria. Fu arrestato, condannato e crocifisso dai romani come sobillatore politico dell’ordine costituito. Ma il suo mito di rivoluzionario e consacrato alla rivoluzione, continuò per molto anche da morto, tanto che le autorità romane continuarono a perseguitare quei gruppuscoli minoritari superstiti che continuavano a riunirsi nel suo nome. Nel movimento esseno, morti successivamente anche i suoi fratelli, tra i quali spicca anche un certo Simone detto Pietro per la sua forte ed alta statura, finita ogni speranza di una nuova rivoluzione messianica, iniziò a prevalere una corrente esclusivamente spirituale la quale attendeva non più un messia guerriero di stirpe davidica e rivoluzionaria, ma un essere divino che dell’uomo prendeva solo le apparenze con la missione salvifica di salvare l’umanità, ma ancora più precisamente gli oppressi, non tanto dalle sofferenze terrene, ma dalla condanna del peccato. Questa corrente era costituita per la maggior parte da ex pagani convertiti all’essenismo, i quali non avendo legami di sangue e di origine con il popolo ebraico, volevano convergere la figura del messiah, cioè consacrato con quella del soter pagano delle religioni misteriche che in chiave gnostica ed esoterica tanto avevano imitato. Quindi, mentre tutti gli esseni di provenienza giudaica progressivamente abbandonarono il movimento per rientrare nell’ebraismo tradizionale fariseico, quelli di origine pagana si apprestarono a creare una loro nuova religione, con tanto di soter ad imitazione mitraica. Ma, per competere con le religioni pagane concorrenziali, dovettero darsi dei falsi riferimenti storici manipolando personaggi ed avvenimenti realmente accaduti, dandone una connotazione distorta. Grazie ad un lavoro di falsificazione ben orchestrato, trasformarono la figura di Giovanni il galileo, della città di Gamala, con la figura di Gesù Cristo il signore. Giocando anche sulla falsificazione dei termini, eliminarono il nome Giovanni tramutandolo con quello di Yeshuah, che in ebraico significa colui che salva, o il salvatore. Messia, cioè, consacrato alla rivoluzione, con quello di unto nel senso di sacrificato, o, immolato per l’umanità. E spacciando il termine nazireo, cioè consacrato alla causa rivoluzionaria, con quella falsa di nativo di Nazaret che in quell’epoca non esisteva. Tra l’altro, la città che sorge sulle sponde del lago Tiberiade non e ’appunto Nazaret, che dista piu’ di 40 km dal mare di Galilea, ma proprio Gamala che sorgeva sul monte degli ulivi. Ma della figura di Giovanni, non solo bisognava nascondere l’aspetto rivoluzionario e banditesco, ma anche le nobili origini, visto che tale corrente doveva necessariamente riferirsi ai diseredati sparsi in tutti i territori dell’impero e non più in Giudea. Da qui, il mito del predicatore straccione, povero ed errante. Ma anche qua’ presero spunto da un altro personaggio realmente esistito mezzo secolo più tardi, la crocifissione di Giovanni di Gamala, citato da un antico documento giudaico, conosciuto come vangelo del ghetto, anch’esso soprannominato Yoshuah Ben Stada, o Ben Pantera, detto l’egiziano, non per nazionalità, ma perchè in quel paese aveva appreso le arti occulte. Il sopranome egiziano era anche sinonimo di mago. Costui, sia pur in maniera diversa, sobillò il popolo e lo aizzò alla sommossa anti romana, ma fu però arrestato per eresia, accusato di stregoneria e morì lapidato per ordine del sinedrio. Durante i secoli successivi, la mescolanza manipolata di questi due personaggi, fece nascere la favola di Gesù Cristo nazareno. E le prime comunità cristiane, altro non furono, che comunità essene le quali divenute forti fuori dalla giudea e dalla Palestina, videro la loro maggior fortuna in Grecia, Asia minore, ma soprattutto, a Roma. La diffusione del nascente cristianesimo, dalle fondamenta essene, con il passare dei secoli, mise in crisi le altre religioni pagane sia politeiste che di stampo misterico ”mitra” tanto da costringere imperatori pagani, come Costantino, ad adottarla come religione di Stato in quanto ottimo strumento di controllo sociale e mentale. Strumento di oppressione e di autorepressione. Ecco, in sintesi, la matrice dell’inganno di un’assurdità che da oltre duemila anni continua ad opprimerci, al servizio del dominio, dello sfruttamento, della repressione. Alcuni nomi corrispondenti gli apostoli con i membri rivoluzionari della banda di Giovanni il galileo: Simone, fratello del capobanda Giovanni, detto pietra o kefas per la corporatura massiccia, ma anche detto barjona che in ebraico vuol dire latitante. Giacomo, il maggiore, chiamato zelota, cioè rivoluzionario, ed anche boenerghe, che ha lo stesso sinificato. Ambedue furono crocifissi per attività rivoluzionarie anti romane. “Giuda iscariota, tale termine eskariot in ebraico vuol dire sicario, colui al quale avete dato il nome di Gesù, in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli altro non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. Non sono che miti, che voi stessi avete fabbricato senza riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. E’ noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate”. Celso, filosofo platonico del secondo secolo, celebre per la sua critica contro il cristianesimo.

Carlo Martino
militante sezione “Delo truda” FdCA Palermo

Violenza contro le donne.

Il 25 novembre sarà celebrata la giornata mondiale contro la violenza alle donne. E come ogni anno, le donne si sono date appuntamento in piazza per manifestare e fare sentire la loro voce. Almeno per un giorno, in tutto il mondo, le donne si sentiranno unite contro un obiettivo comune. Perché ciò che accomuna le donne, al di là dell’appartenenza di genere, è proprio l’essere vittime della violenza, quella sì molto egualitaria, che le colpisce indipendentemente dal colore della pelle, dalla nazionalità, dall’età, dalla classe sociale, dal grado d’istruzione, dal credo religioso e/o politico. La storia delle donne è una storia fatta di violenza e di dolore; di umiliazioni e di sopraffazione; di silenzi e di rabbia repressa; di negazioni; di isolamento, e si potrebbe continuare fino ad esaurire tutte le parole che si possono utilizzare per descrivere la condizione delle vittime del potere violento del maschio. Un potere brutale che fa strage di donne in tutto il mondo. Un genocidio giustificato, da sempre, dal giudizio universale sull'inferiorità sociale femminile e dal desiderio di controllare il corpo delle donne attraverso le limitazioni alla libertà sessuale e alla vita sociale. Perché il corpo delle donne è stato sempre considerato proprietà privata degli uomini del nucleo familiare di appartenenza. O il terreno su cui giocare battaglie ideologiche di tipo religioso. Nell’epoca attuale esso viene utilizzato dai media come merce per vendere altra merce e di conseguenza viene totalmente avvilito e asservito al capitale. L’apparente esaltazione del corpo femminile che ne fa la pubblicità non è altro che il completo svilimento della donna ridotta a far da specchietto per le allodole e a valere meno dei prodotti che reclamizza. La cronaca riporta ogni giorno fatti agghiaccianti: donne bambine costrette a sposarsi o a prostituirsi per sopravvivere; donne ammazzate; ridotte in miseria; abbandonate da uomini irresponsabili e costrette a sacrifici immani per crescere i figli. Tutto questo non succede solo nel cosiddetto terzo mondo, ma anche nel civilissimo mondo occidentale. Con la crisi economica, la condizione delle donne si è ulteriormente aggravata, perché sono le prime ad essere licenziate e le ultime ad essere riassunte, se hanno la fortuna di rientrare nel mondo del lavoro. Sono le donne che devono sacrificarsi maggiormente per poter tirare avanti, quando il partner resta disoccupato o è in cassa integrazione. Anzi a molte di loro non viene nemmeno riconosciuto lo status (poco invidiabile) di disoccupate perché “casalinghe”. Da ridere, come se ricevessero un salario in cambio della fatica spesa per badare agli altri. La sensazione, che sempre più si va trasformando in certezza, è che la condizione delle donne a livello mondiale stia peggiorando, che i tanti o i pochi progressi fatti vadano lentamente annullandosi, a dispetto delle leggi adottate da alcuni Stati, che sembrano tutelarle. In paesi come l’Iran, l’Afghanistan, la Somalia, l’Algeria, nell’ex blocco sovietico, nel Sudan, in Cina, nell’America latina, in particolare in Messico (vedi le stragi di Ciudad Juarez) la situazione peggiora sensibilmente a causa anche delle guerre o della miseria economica e di leggi liberticide anti femminili. La guerra al “terrorismo per l’esportazione della democrazia”, e lo sfruttamento bestiale che la globalizzazione impone ai paesi più poveri, ha finito col far avanzare tutti i fondamentalismi religiosi che hanno avuto nelle donne i loro peggiori nemici. Tra le favolette che Mr. Bush e gli altri criminali, suoi alleati, ci avevano raccontato per giustificare gli omicidi di massa degli afgani, c’era quello della liberazione delle donne. Sappiamo bene come è finita. Grazie ai loro “libertadores” le donne afgane stanno peggio di prima, ed il governo Karzai ha fatto un bel regalo alle donne di etnia sciita. Nei paesi poveri, inoltre le differenze di classe si fanno ancora più stridenti, perché le donne povere subiscono una doppia violenza e non godono di nessuna tutela. Nei paesi ricchi, nonostante alcune leggi, vedi quelle che hanno riconosciuto lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale, come veniva considerato in precedenza, il problema permane. Perché non bastano le leggi per fermare l’odio, il disprezzo che uno stupratore prova per le donne. Nello stupro non vi è desiderio, ma odio e, forse, paura. Come spiegare altrimenti gli episodi che vedono vittime di stupri donne di 80 anni e oltre? Il problema è essenzialmente culturale, e secoli di cultura maschilista e patriarcale hanno finito col rendere uomini e donne schiavi di ideologie repressive che impediscono ai due sessi di avere rapporti basati sul reciproco rispetto e sul pieno riconoscimento della dignità dell’altro. Nella società classista, basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo o guidata dai fondamentalismi religiosi, il posto delle donne sarà sempre ai livelli più bassi, esse saranno le vittime d’elezione su cui scaricare tutte le frustrazioni. Il servo più miserabile ha bisogno di qualcuno ancora più miserabile con cui confrontarsi per poter sopportare il suo stato di sofferenza e non ribellarsi contro il padrone. Questo ruolo è stato imposto alle donne. Tanto è vero che non appena tentano di ribellarsi vengono punite nei modi più feroci. Violenza fisica o psicologica, dipende dal grado di cosiddetta civiltà in cui si trovano a vivere. Ma il 25 novembre, sentiremo tanti bei discorsi e buoni propositi. Ci sentiremo tutti solidali. Poi tutti a casa e tutto come prima. La condizione delle donne non cambierà. Esse continueranno a subire come prima a meno che non decidano di ribellarsi tutte insieme e attuare quella rivoluzione sociale e culturale che affermi i principi dell’uguaglianza e della solidarietà tipiche del sentire femminile. Le donne sono state programmate dalla natura per dare la vita, per accogliere e non respingere. Le donne sbagliano quando tentano di assumere atteggiamenti tipici del maschio. Così facendo finiscono per perpetuare il ciclo della violenza e della sopraffazione. Con buona pace di certe femministe borghesi, la differenza di genere va oltre i confini da esse stabilite. In molti casi esse finiscono per dare ragione “all’invidia del pene” teorizzata da S. Freud. L’invidia del pene è l’invidia del potere maschile. Noi anarchici siamo nemici del potere.

individualità anarchica siciliana di genere

Violenza, repressione e morte.

Oggi in Italia si respira aria di repressione, aria che passa per innumerevoli episodi. Dalla sottrazione di spazi sociali come gli sgomberi del Centro sociale exKarcere di Palermo e del Centro popolare Experia di Catania, alla repressione che colpisce, prima con 3 arresti e poi con altri 4, gli antifascisti di Livorno e Pistoia sospettati senza prove, dal momento che gli esecutori dell'aggressione erano a volto coperto, di essere gli esecutori dell'aggressione alla sede di Casapound di Pistoia, alla repressione che colpisce sotto diverse forme i lavoratori ogni giorno, gli immigrati e la comunità LGBT, c'è aria di intolleranza, di razzismo, di rifiuto per chiunque sia "diverso". Aria sempre più alimentata, in maniera chiara alle volte e in maniera molto più subdola e strisciante altre, dai poteri forti, che aldilà della loro faccia che viene esposta al pubblico porta una maschera di tolleranza e rispetto, che serve solo a nascondere ciò che veramente fanno, ovvero una politica di razzismo e intolleranza. Esempio di ciò è lo stesso presidente della camera Gianfranco Fini, che mal celando i suoi istinti e il suo ideale fascista, per altro ben conosciuto, si maschera dietro posizioni di tolleranza, essendo poi complice di leggi come la Bossi-Fini di stampo chiaramente razzista e essendo poi ai vertici di un governo che fa della politica razzista la sua bandiera. Fatto di cronaca e di attualità è, purtroppo, la morte di Stefano Cucchi, giovane arrestato perchè in possesso di qualche grammo di marijuana e di cocaina, massacrato di botte dai Carabinieri. Subito mentono, tentano di insabbiare, conosciamo bene le loro tecniche, i medici inventano teorie strampalate per salvare i massacratori di Stato che in nome di una giustizia borghese e, paradossalmente, ingiusta arrivano con la violenza che da sempre li caratterizza a massacrare di botte un ragazzo di 31 anni. Si susseguono violenze su violenze, gli stupri, usati e manovrati dal governo per fare della caccia al clandestino, le aggressioni fisiche e terroristiche a danni della comunità LGBT e degli immigrati, la violenza la sentiamo, sulla nostra pelle. Tutta questa società, questo modello sociale è violento per sua stessa natura, anche il doversi sottomettere a una sfruttamento continuo, il dovere mendicare quello che serve per vivere, anche questa è violenza che fa parte di questa società. La mentalità razzista, discriminatoria verso tutto ciò che non è "normale", normale secondo quali canoni? Questo verrebbe da chiedersi, questa è violenza. La mentalità fascista da sempre coperta e aiutata dallo Stato, dalla Chiesa e dal Capitale, una mentalità che, la storia insegna, vuole schiacciare tutto ciò che è dissenso verso di essa e tutto ciò che è diversa da essa, una mentalità che porta alla costituzione ancora oggi di organizzazioni come Forza nuova, Alleanza nazionale, Casapound e chi più ne ha più ne metta, una mentalità che porta ai pestaggi, tipici della politica di repressione fascista. Lo Stato è violenza, violenza verso la libertà dell'uomo e del popolo, e della violenza fa quotidianamente uso tramite le sue forze di repressione, è la storia che ce lo insegna. Tutto questo è violenza. Violenza, repressione e morte, ecco quale è il regalo di questa società, ecco quale è lo stato delle cose attualmente, non solo in Italia, non solo in Europa, ma nel mondo. Guerre sempre di più alimentate dalla sete di potere e supremazia, e dal prevalere degli interessi di pochi su quelli dei molti. E l'unico modo per sconfiggere questo è la lotta, è il non sottomettersi, anzi, il ribellarsi quando lo Stato, Il capitale, la Chiesa, e tutti i poteri ad essi congeniali come la mafia e le organizzazioni malavitose, che sono poi nient'altro che la ramificazione dello Stato stesso, provano a sottometterci. La lotta verso una società diversa, fatta di liberi/e e costruita da liberi/e uomini e donne, di lavoratori che non si arrendono al capitale e che non accettano la società divisa in classi. L'emancipazione di tutti gli/le sfruttati/e. La cessazione della violenza che in ogni sua forma opprime e reprime, e che è fondamento di questa società. La rivoluzione come mezzo e come fine, come mezzo per il cambiamento, perchè non ci può essere certo cambiamento senza l'abolimento dello Stato e del Capitale, e come fine perchè è duro e in salita il cammino per raggiungerla, poichè non può avvenire se non con la presa di coscienza delle masse degli sfruttati.

Roberto per la Sezione "Delo Truda" FdCA Palermo