Violenza contro le donne.

Il 25 novembre sarà celebrata la giornata mondiale contro la violenza alle donne. E come ogni anno, le donne si sono date appuntamento in piazza per manifestare e fare sentire la loro voce. Almeno per un giorno, in tutto il mondo, le donne si sentiranno unite contro un obiettivo comune. Perché ciò che accomuna le donne, al di là dell’appartenenza di genere, è proprio l’essere vittime della violenza, quella sì molto egualitaria, che le colpisce indipendentemente dal colore della pelle, dalla nazionalità, dall’età, dalla classe sociale, dal grado d’istruzione, dal credo religioso e/o politico. La storia delle donne è una storia fatta di violenza e di dolore; di umiliazioni e di sopraffazione; di silenzi e di rabbia repressa; di negazioni; di isolamento, e si potrebbe continuare fino ad esaurire tutte le parole che si possono utilizzare per descrivere la condizione delle vittime del potere violento del maschio. Un potere brutale che fa strage di donne in tutto il mondo. Un genocidio giustificato, da sempre, dal giudizio universale sull'inferiorità sociale femminile e dal desiderio di controllare il corpo delle donne attraverso le limitazioni alla libertà sessuale e alla vita sociale. Perché il corpo delle donne è stato sempre considerato proprietà privata degli uomini del nucleo familiare di appartenenza. O il terreno su cui giocare battaglie ideologiche di tipo religioso. Nell’epoca attuale esso viene utilizzato dai media come merce per vendere altra merce e di conseguenza viene totalmente avvilito e asservito al capitale. L’apparente esaltazione del corpo femminile che ne fa la pubblicità non è altro che il completo svilimento della donna ridotta a far da specchietto per le allodole e a valere meno dei prodotti che reclamizza. La cronaca riporta ogni giorno fatti agghiaccianti: donne bambine costrette a sposarsi o a prostituirsi per sopravvivere; donne ammazzate; ridotte in miseria; abbandonate da uomini irresponsabili e costrette a sacrifici immani per crescere i figli. Tutto questo non succede solo nel cosiddetto terzo mondo, ma anche nel civilissimo mondo occidentale. Con la crisi economica, la condizione delle donne si è ulteriormente aggravata, perché sono le prime ad essere licenziate e le ultime ad essere riassunte, se hanno la fortuna di rientrare nel mondo del lavoro. Sono le donne che devono sacrificarsi maggiormente per poter tirare avanti, quando il partner resta disoccupato o è in cassa integrazione. Anzi a molte di loro non viene nemmeno riconosciuto lo status (poco invidiabile) di disoccupate perché “casalinghe”. Da ridere, come se ricevessero un salario in cambio della fatica spesa per badare agli altri. La sensazione, che sempre più si va trasformando in certezza, è che la condizione delle donne a livello mondiale stia peggiorando, che i tanti o i pochi progressi fatti vadano lentamente annullandosi, a dispetto delle leggi adottate da alcuni Stati, che sembrano tutelarle. In paesi come l’Iran, l’Afghanistan, la Somalia, l’Algeria, nell’ex blocco sovietico, nel Sudan, in Cina, nell’America latina, in particolare in Messico (vedi le stragi di Ciudad Juarez) la situazione peggiora sensibilmente a causa anche delle guerre o della miseria economica e di leggi liberticide anti femminili. La guerra al “terrorismo per l’esportazione della democrazia”, e lo sfruttamento bestiale che la globalizzazione impone ai paesi più poveri, ha finito col far avanzare tutti i fondamentalismi religiosi che hanno avuto nelle donne i loro peggiori nemici. Tra le favolette che Mr. Bush e gli altri criminali, suoi alleati, ci avevano raccontato per giustificare gli omicidi di massa degli afgani, c’era quello della liberazione delle donne. Sappiamo bene come è finita. Grazie ai loro “libertadores” le donne afgane stanno peggio di prima, ed il governo Karzai ha fatto un bel regalo alle donne di etnia sciita. Nei paesi poveri, inoltre le differenze di classe si fanno ancora più stridenti, perché le donne povere subiscono una doppia violenza e non godono di nessuna tutela. Nei paesi ricchi, nonostante alcune leggi, vedi quelle che hanno riconosciuto lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale, come veniva considerato in precedenza, il problema permane. Perché non bastano le leggi per fermare l’odio, il disprezzo che uno stupratore prova per le donne. Nello stupro non vi è desiderio, ma odio e, forse, paura. Come spiegare altrimenti gli episodi che vedono vittime di stupri donne di 80 anni e oltre? Il problema è essenzialmente culturale, e secoli di cultura maschilista e patriarcale hanno finito col rendere uomini e donne schiavi di ideologie repressive che impediscono ai due sessi di avere rapporti basati sul reciproco rispetto e sul pieno riconoscimento della dignità dell’altro. Nella società classista, basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo o guidata dai fondamentalismi religiosi, il posto delle donne sarà sempre ai livelli più bassi, esse saranno le vittime d’elezione su cui scaricare tutte le frustrazioni. Il servo più miserabile ha bisogno di qualcuno ancora più miserabile con cui confrontarsi per poter sopportare il suo stato di sofferenza e non ribellarsi contro il padrone. Questo ruolo è stato imposto alle donne. Tanto è vero che non appena tentano di ribellarsi vengono punite nei modi più feroci. Violenza fisica o psicologica, dipende dal grado di cosiddetta civiltà in cui si trovano a vivere. Ma il 25 novembre, sentiremo tanti bei discorsi e buoni propositi. Ci sentiremo tutti solidali. Poi tutti a casa e tutto come prima. La condizione delle donne non cambierà. Esse continueranno a subire come prima a meno che non decidano di ribellarsi tutte insieme e attuare quella rivoluzione sociale e culturale che affermi i principi dell’uguaglianza e della solidarietà tipiche del sentire femminile. Le donne sono state programmate dalla natura per dare la vita, per accogliere e non respingere. Le donne sbagliano quando tentano di assumere atteggiamenti tipici del maschio. Così facendo finiscono per perpetuare il ciclo della violenza e della sopraffazione. Con buona pace di certe femministe borghesi, la differenza di genere va oltre i confini da esse stabilite. In molti casi esse finiscono per dare ragione “all’invidia del pene” teorizzata da S. Freud. L’invidia del pene è l’invidia del potere maschile. Noi anarchici siamo nemici del potere.

individualità anarchica siciliana di genere